Per recarsi nei villaggi Mursi occorre essere accompagnati da ranger armati. Questa è un’etnia di valorosi e feroci guerrieri e la scorta armata è obbligatoria. All’ingresso del Mago National Park ci stringiamo sulla nostra jeep per far posto al ranger ed al suo Kalashnikov. Ci addentriamo nel territorio dei Mursi, all’interno della valle. E’ mattina. Ed in questi villaggi è consigliato di entrare solo in mattinata. E’ una precauzione che ha una sua logica: gli uomini di questa etnia, purtroppo, sin dal mattino bevono una birra “artigianale” derivata dalla fermentazione del sorgo (un cereale che si coltiva in tutta Etiopia) e sniffano polvere di peperoncino dalle cartucce usate dei loro fucili: questa mistura esplosiva fa sì che, molto di frequente, divengano aggressivi, litigiosi, insomma pericolosi. Considerando che ognuno di loro possiede un’arma automatica ed un numero considerevole di proiettili, non c’è proprio da scherzare. I Kalashnikov si acquistano tranquillamente ai vicini mercati (naturalmente il porto d’armi è sconosciuto) per una cifra vicina ai 1.000 bir (moneta locale) o scambiati con una mucca dopo lunghe contrattazioni. Questi fucili sono stati introdotti in Etiopia da commercianti senza scrupoli del vicino Sudan.
Per i Mursi il combattimento e la lotta costituiscono la forma più alta di prestigio e di rispetto: la forza, nella sua dimensione più violenta, è considerata l’espressione massima di valore e di potenza.
Il Thagine, ad esempio, è il combattimento con lunghi bastoni (prendono il nome di Donga), la cui punta arrotondata ricorda il simbolo fallico. E’ una feroce arte marziale dove l’unico limite da non oltrepassare è quello della morte, per il resto qualsiasi colpo è ammesso ed il sangue, di conseguenza, scorre a fiumi. A volte alcune cicatrici sui corpi dei lottatori rimarranno per la loro intera vita.
Colui che vince verrà portato in trionfo dai componenti del villaggio, sarà rispettato da tutti ed ammirato dalle donne.
Si stima che la popolazione dei Mursi ammonti a circa 10.000 individui, quasi tutti dediti alla pastorizia. Sono semi nomadi e si spostano, a seconda delle stagioni, tra la Pianura di Tama ed i monti Mursi, all’interno del Parco Nazionale del Mago. Coltivano sorgo, granoturco, fagioli e ceci. Si dedicano alla caccia con estrema abilità. Sono divisi in 18 clan e parlano una lingua cosiddetta Surmica.
Le loro donne sono famose per l’utilizzo del piatto labiale, che spesso inseriscono anche nel lobo delle orecchie (anche se di dimensioni più contenute).Questi dischi di argilla (“debbi”), decorati con disegni geometrici e colorati con sostanze naturali, arrivano a misurare anche 16 centimetri di diametro.
Le ragazze, sin da giovanissime, praticano un’incisione (in genere) nel labbro inferiore, assistite dalle donne più anziane, inserendo prima cilindri in legno di diverse dimensioni (dai più piccoli ai più grandi), per poi giungere ad indossare il piatto in terracotta, dotato di una scanalatura lungo il bordo esterno.
Le donne, a causa della scomodità nell’indossarli, li inseriscono solo quando sono in presenza degli uomini o per particolari ricorrenze. Di solito lasciano pendere tranquillamente il labbro inciso, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
L’asportazione degli incisivi è comune a tutte le donne Mursi (questa pratica è presente anche in altre etnie, in diversi paesi dell’Africa) ed è adottata, oltre che per facilitare l’introduzione del piatto, anche per consentire l’alimentazione forzata nei casi, spesso comuni, di complicazioni derivate dall’aver contratto il tetano.
Secondo alcuni antropologi questa consuetudine sembra che sia nata nel periodo della tratta degli schiavi, proprio per scoraggiare questi crudeli mercanti dal rapire e deportare le donne che, in tal modo, ai loro occhi apparivano deformi e di conseguenza venivano scartate. Altri credono che questo fosse un rimedio per impedire al male di penetrare nel corpo attraverso la bocca. Altri ancora considerano il piatto labiale quale segno distintivo di ricchezza e prestigio per la donna che lo indossa: maggiore è il suo diametro, più numerosi saranno i capi di bestiame richiesti dalla famiglia per concederla in sposa al pretendente. La teoria più credibile sembra considerare il piatto labiale un incontrovertibile simbolo di identità tribale, una sorta di “iniziazione” della donna Mursi che dalla pubertà passa alla fertilità ed alla maturità.
Oggi l’indossare il piatto è sinonimo di bellezza: più è grande, più la donna è affascinante e corteggiata.
Molte donne Mursi, come quasi tutte le donne appartenenti alle diverse tribù della Bassa Valle dell’Omo, ed anche gli uomini, praticano la scarificazione del corpo (la chiamano “Icioà”) per apparire più attraenti: consiste nel taglio sottopelle ed è una pratica dolorosa e non priva di rischi, viste le condizioni igieniche non certo ideali. Si disegnano prima sul corpo, con un legnetto intriso di gesso ed acqua, i punti dove effettuare i tagli con la lametta, poi si alza la pelle nel punto contrassegnato con un rametto spinoso e si incide. Si cosparge la ferita con cenere ed acqua o polveri derivate dalla macinazione di radici particolari (dal nome “Urasa”). Le cicatrici che si formeranno quando il taglio si sarà rimarginato, daranno vita ad un tatuaggio a rilievo di particolare effetto. Spesso, per contenere il sangue che sgorga copioso dalle ferite, si cinge di foglie il punto dove si effettuano le incisioni.
Sempre le donne di questa etnia amano adornarsi il capo ed il viso con acconciature stravaganti: zanne di facocero o di altri animali uccisi, gusci di lumache, zucche, piume, bacche colorate, conchiglie di fiume, monili di metallo intrecciati con pelli di animali. Hanno il seno scoperto e indossano gonne di pelle ornate con cipree (conchiglie che, sino a pochi decenni fa, erano considerate moneta di scambio) o perline colorate.
Sia gli uomini che le donne si cospargono il corpo di cenere nel tentativo di proteggersi dalle punture delle zanzare, molto fastidiose in questo territorio (ne so qualcosa anch’io…).
I giovani guerrieri Mursi, dopo aver superato le prove di iniziazione, si fanno scarificare il caratteristico tatuaggio a forma di rondine sull’avambraccio.
Spesso anche gli uomini si adornano il capo con grandi orecchini di metallo e zanne di animali, oltre che con piume.
Complimenti vivissimi, oltre che ad essere un bravo fotografo è anche una persona molto sensibile; adoro questi popoli e li ho anche trattati in una ricerca scolastica molto approfondita servendomi anche di alcune delle sue informazioni. Il progetto Obbiettivo sul mondo è bellissimo, ne sono rimasta molto affascinata siucuramente anche perchè la reporter è il lavoro che spero farò da grande!
Grazie Giulia, sono lusingato dai tuoi commenti. Anch’io amo questi popoli, le loro tradizioni, il loro stile di vita. A giugno, dal 6 all’11, esporrò alcune mie fotografie del Camerun in un locale di Trastevere. Se potesse farti piacere, potrei inviarti l’invito. Hai avuto modo di vedere il video del Camerun sul mio sito? In bocca al lupo per il tuo futuro lavoro, la tenacia e l’umiltà sono le doti che, secondo me, fanno la differenza in questa professione.
Un caro saluto,
Fabrizio.
Grazie mille, ora andrò a vedere il video! sarebbe molto interessante vedere queste foto ma sono delle marche e mi resterebbe difficile venire, comunque aspetto altre foto e altri dei tuoi bellissimi reportage. Complimenti ancora!