Nella tragedia dell’invasione del Tibet non vi è solamente la sofferenza umana di un Popolo, ma il concreto rischio della scomparsa di una autentica cultura della pace fondata sugli insegnamenti del Buddha di non violenza e di rispetto per gli altri, completamente stravolti dall’arroganza e dalla sete di conquista della famelica tigre cinese che si sono abbattute come una scure su queste pacifiche popolazioni.
Oltre 135.000 tibetani, sui sei milioni complessivi, si sono rifugiati in India ed in Nepal pur di sfuggire alle persecuzioni religiose e nel tentativo di preservare le basi della loro cultura millenaria: hanno affrontato un viaggio estenuante a piedi attraversando la catena montuosa dell’Himalaya, con un altissimo numero di vittime in termini di vite umane.
Sono stati creati 50 campi profughi (tra India e Nepal) in cui questi individui, già stremati dal viaggio, sono stati decimati dal caldo torrido e umido, denutrizione, malaria, tubercolosi, ed altre malattie sconosciute sull’altopiano tibetano.
Attualmente esistono ventuno campi profughi tibetani in Nepal (per un totale di circa 20.000 persone) ma, le pressioni del governo cinese sulle strutture politiche ed amministrative nepalesi, hanno indotto gli attuali vertici della Repubblica federale democratica (l’elezione della Camera dei Rappresentanti e dell’Assemblea Costituente nel dicembre del 2017 ha sancito la vittoria dell’alleanza tra comunisti e maoisti) a negare i documenti e persino lo status di “rifugiato politico” ai tibetani che arrivano nel Paese dalla Cina.
Per decenni Kathmandu è stata il tradizionale e sicuro “corridoio” verso Dharamsala (città indiana sede del Governo tibetano in esilio e dimora del Dalai Lama). Ora non più, visto che le pressioni di Pechino hanno convinto l’esecutivo ad invertire la rotta.
Senza il riconoscimento ufficiale i profughi in Nepal non hanno il permesso di spostarsi dai campi di accoglienza e non possono neppure lavorare. Una situazione assurda, in cui di fatto i rifugiati si trovano loro malgrado agli arresti domiciliari.
La questione è puramente economica: i vertici del Nepal stanno portando avanti una politica di riavvicinamento alla Cina dopo decenni di cooperazione con l’India e non intendono irritare i nuovi potenziali partner con un diniego volto a riconoscere i sacrosanti diritti dei tibetani fuggiti dal Sol Levante.
Da alcuni anni le autorità del Nepal impediscono ai rifugiati tibetani qualsiasi attività considerata anticinese, anche proteste pacifiche e preghiere di commemorazione in ricordo delle vittime della persecuzione cinese.
Si è arrivati all’arbitrio di negare a coloro che non possiedono un documento valido che attesti la cittadinanza nepalese o lo status di rifugiato politico gli aiuti da parte del Governo: pertanto acqua, alimenti e tende non possono più essere distribuiti se non dietro presentazione di una documentazione di fatto inesistente perché negata direttamente da chi dovrebbe emetterla.
Fabrizio Loiacono Photographer
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