“Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”
(Jhon Steinbeck)
L’India è il Paese in cui privilegi e povertà, non violenza e fanatismo, potere e rassegnazione, tradizioni antichissime e tecnologie all’avanguardia, ruralità contadina e scoperte industriali, sfrenata opulenza ed assoluta miseria, cruda realtà e galoppante fantasia, occulti misteri e spiazzanti chiarezze, ne fanno un continente unico, irripetibile.
Durante i miei fotoreportages in Rajasthan, nell’India del Sud, nell’Uttar Pradesh e nel Gujarat , ho tentato di riportare con fedeltà obiettiva la realtà vissuta di un’India senza veli o stereotipi.
Le immagini dell’unico tempio esistente al mondo dedicato ai topi, il Karni Mata Temple di Deshnok, nei pressi di Bikaner, del magico Taj Mahal (accanto al fiume Yamuna), del deserto vicino a Jaisalmer, dove vivono le Etnie nomadi Bisnoi, Bhil, Mina, del fiabesco Palazzo del Maharaja di Udaipur, considerata la “Venezia” d’Oriente, del maestoso forte (scolpito in pietra calcarea dorata) di Jaisalmer, la cosiddetta Città d’oro, del lago sacro di Pushkar (che la leggenda racconta sia stato creato nel momento in cui un fiore di loto cadde dalla mano di Brahma), dello splendore di Jaipur, con i suoi edifici di colore rosa, del mausoleo di Dargah, nella città di Ajmer (uno dei luoghi di pellegrinaggio musulmani più importanti di tutta l’India, dove i pellegrini legano alle ringhiere appunti su carta e nastrini sacri come segno di ringraziamento o di supplica nei confronti dello spirito del venerato), della cosiddetta “Città blu”, Jodhpur, con le sue stradinetortuose circondate da case colorate di azzurro, della città dei mille templi, la famosa Kanchipuram, nel Tamil Nadu Settentrionale, dell’antica città di Fort Chochin, con le gigantesche reti da pesca cinesi nel Kerala Centrale, di Bangaram, perla dell’arcipelago delle Laccadive, di Varanasi, la città di Shiva, uno dei luoghi sacri più importanti dell’intero Paese, di Allahbad, città
che sorge alla confluenza di due fiumi, il Gange e lo Yamuna, tra i più importanti e venerati dell’India (è qui che si è svolto il Maha Kumbh Mela 2013, la cerimonia Hindu più grande al mondo), della regione del Kutch, in Gujarat, dove le donne appartenenti alle tribu’ nomadi producono splendidi tessuti in cui vengono incastonati scintillanti specchietti, sono solo alcune delle meraviglie che ho ammirato in questa terra stupenda.
Ho scoperto un’India dove il lavoro artigianale impegna uomini, ma soprattutto donne, in
particolare nei lavori più pesanti , in una fatica senza tempo, senza stagioni, senza diritti. Una fatica svolta in ogni condizione, nei grandi mercati come negli angoli di strada, nelle campagne più remote come nelle città più moderne.
Un’India in cui le vacche sacre, da sempre venerate, rispettate e trattate con amorevoli cure, vagano tranquille sulle strade, tra il traffico caotico di biciclette, auto, camion e motociclette strombazzanti.
Un’India in cui il fiore di loto si creda corrisponda al centro dell’universo ed è talmente venerato da essere divenuto il fiore nazionale del Paese.
Un’India in cui i colori dei turbanti (safa, paag o pagri), dei sari, delle gonne scintillanti (lehanga o ghaghara), dei veli per il capo (odni o dupatta), simboleggiano le restrizioni esistenti nella società indiana.
Il turbante, a seconda del colore, può indicare l’appartenenza ad una casta, ad una particolare religione o può essere indossato per un’occasione specifica (cerimonia, ricorrenza, festività).
Il colore zafferano è usato dai Rajput ed è legato alla cavalleria, il nero dai Nomadi, il rosa dai Brahmini, il marrone dai Dalit; i turbanti multicolori vengono utilizzati per le festività, in particolare quelli bianchi, blu, grigi o neri vengono usati dagli Hindu per comunicare tristezza.
Le donne sposate o nubili portano indosso colori vivaci, quali rosa, rosso,giallo: una combinazione particolare di rosso e giallo può essere utilizzata solo dalle donne che abbiano partorito figli maschi. Le donne Hindu sposate, quindi di “proprietà” del marito, si riconoscono dai bracciali (chuda), dagli anelli alle dita dei piedi (bichiya) e da un colore vermiglio nella scriminatura dei capelli.
Alcune sfumature di blu, di verde e di bianco, sono considerate colori da lutto, utilizzati dalle vedove Hindu.
Un’India dove lo spirito religioso pregna ogni azione e convive con il progresso tecnologico delle aziende.
Un’India in cui l’hinduismo, principale religione del paese, convive con il buddismo, con il
giainismo, con lo zoroastrismo, con la religione musulmana, con il cristianesimo, con le religioni tribali animiste.
Un’India in cui vivono oltre un miliardo di abitanti, in una miscellanea composita di etnie.
Un’India in cui esiste una casta di “invisibili”, gli Hijra, eunuchi che si travestono da donne, alcuni sono gay, altri ermafroditi: dato che la cultura indiana non accetta l’omosessualità, loro vivono ai margini della società, in una specie di limbo indefinito.
Un’India in cui occorre arrendersi all’ignoto, per lasciarsi affascinare dai suoi misteri nascosti ad ogni angolo di strada.
“Finirai per trovarla la via…se prima hai il coraggio di perderti.”
(Tiziano Terzani)
Maha Kumbh Mela Allahabad 2013
Polvere, fumo, nebbia…la notte che precede i grandi festeggiamenti del Maha Kumbh Mela, la processione ed il bagno rituale più importante dell’intera cerimonia religiosa Hindu.
E’ il 10 febbraio.
Una notte umida, che ti entra nelle ossa.
Un’emozione profonda, condita con i frastuoni dei migliaia di pellegrini, insaporita dai suoni dei tamburi e dai canti, illuminata dagli sguardi severi ed alteri dei Sadhus.
Folle oceaniche che si muovono in senso alternato, sembrano correnti di mare che scorrono senza mai incrociarsi.
Gente che dorme ai lati delle strade in giacigli di fortuna avvolti nelle coperte.
Il freddo a volte è pungente.
La tensione è palpabile, ti avvolge, ti stringe in un abbraccio da cui non riesci a liberarti.
Gli altoparlanti sparano verso il cielo a volume elevatissimo suoni, canzoni e voci che incitano i pellegrini a pregare.
L’alba è ancora distante, ma la luce negli occhi dei santoni Hindu brilla come mille soli accecanti.
Si percorrono molte strade durante il cammino nella nostra vita, ma questo tragitto, nella notte bagnata dal lento scorrere del Gange, dello Yamuna e dello Sarasvati, nell’epicentro sacro del Triveni Sangam, è un percorso di fede, una testimonianza della forza incredibile acquisita dalla religione hinduista nel corso dei secoli.
Sono testimone della cerimonia religiosa più grande al mondo ed è con rispetto e curiosità che assisto alla sfilata dei carri ricolmi di fiori dove siedono i santoni con al seguito i loro adepti.
Il profumo degli incensi quasi mi stordisce, ma al contempo mi inebria.
Il lento spostamento dei fedeli mi schiaccia e mi verrebbe voglia di lasciarmi trasportare inerme, chiudendo gli occhi, se non fosse che chissà dove mi risveglierei…
Osservo la cura dei dettagli utilizzati negli addobbi dei carri e sui corpi dei Naga Baba, santoni nudi e ricoperti di cenere, a volte armati di lancia o tridente, spesso brandiscono le loro spade rituali.
Il loro spirito guerriero fiero e indomito traspare dal loro portamento e dal loro sguardo.
All’arrivo dell’alba il sole scaccia la notte ed i colori esplodono in tutta la loro vivacità. Soprattutto i sari che indossano le donne con eleganza e semplicità o i turbanti che gli uomini sfoggiano con orgoglio.
La polvere…una costante sottile, entra ovunque, nei vestiti, sui capelli, nelle scarpe, si deposita sulle macchine fotografiche.
Ma la polvere potrà essere lavata con una rilassante doccia, mentre l’emozione di questa esperienza, unica nel suo genere, resterà sempre nitida nei miei ricordi più belli.
Fabrizio Loiacono.
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