Lo Zululand, ovvero la terra del “Popolo del cielo” crea un mondo all’interno di un altro mondo, un Regno dentro una Repubblica, un frammento di Africa selvaggia incastonato in un Paese apparentemente nordeuropeo.
Quando ci si inoltra tra le coltivazioni di canna da zucchero, si sale sulle colline costellate di acacie ad ombrello e spruzzate con il giallo delle arance abbandonate perché in sovrapproduzione, ad un certo punto ci si imbatterà nei villaggi rurali di forma circolare circondati da alte staccionate di rami e tronchi conficcati nel terreno: composti da diverse capanne ad alveare, tipo igloo, denominate “Indlu”, particolarmente resistenti perché costruite con rami flessibili e fasci d’erba strettamente legati fra loro, ricoperti con stuoie di fibre vegetali e paglia. Il pavimento è realizzato con terreno frantumato, argilla e letame pressato. All’interno della capanna la parte destra è riservata agli uomini e la sinistra alle donne, mentre uno spazio posteriore è dedicato al culto degli antenati. Nel villaggio tradizionale Zulu, denominato “Umuzi”, ogni “Indlu” (capanna) ha una disposizione ben definita, come nel “Kraal”, l’accampamento nomade in cui le capanne a cupola sono smontabili e trasportabili. Quest’ultimo tipo di insediamento presenta una difesa circolare con un unico ingresso, per contrastare l’eventuale attacco di nemici, con un anello di abitazioni ed un recinto circolare per il bestiame nel centro.
Sono nella patria dei leggendari Zulu (o “Amazulu “, popolo del cielo), nome che evoca la magia ed i misteri dell’Africa ma che, all’interno di qualche vocabolario, viene definito ancora come sinonimo di “persona di grossolana ignoranza e maleducazione”…pregiudizi duri a morire. Il KwaZulu-Natal, un territorio vasto incastonato in una provincia della Repubblica Sud Africana, è una terra calda e umida dove splende il sole tutto l’anno, ricca di bellezze naturali e di tracce evidenti di un passato glorioso tra lotte tribali e resistenza indomita al colonialismo bianco. In essa vivono guerrieri orgogliosi e risoluti, ospitali e conservatori, superstiziosi e sottomessi ai capi dove, purtroppo, la piaga dell’Aids sembra colpire sino al 60% della popolazione.
I Zulu, appartenenti alla stirpe Nguni e che rappresentano il gruppo tribale più numeroso del Sud Africa, praticano la poligamia (anche se in misura sempre minore attualmente) e seguono una religione animistica che basa le sue credenze sul concetto di sopravvivenza dello spirito dopo la morte e sul culto degli antenati. Gli spiriti familiari si crede che possano intervenire nella vita di ognuno, cancellando le malattie ed i dolori, oppure infliggendo punizioni: a loro ci si rivolge con l’ausilio degli indovini e del “Sangoma”, una figura mistica (in genere una donna) legata alla medicina tradizionale ed alla superstizione popolare. Profonda conoscitrice dell’animo umano e molto rispettata dall’intera comunità, il “Sangoma” legge il passato, il presente ed il futuro; comunica con gli spiriti utilizzando radici, erbe, cortecce, pelli di serpente.
La comunità rurale degli Zulu risiede nei villaggi, spesso senza acqua corrente ed elettricità, in case di mattoni con il tetto in lamiera, abitazioni certamente più moderne rispetto alle capanne ma che, spesso, spingono questi clan a disperdere le loro antiche usanze e cerimonie.
Si definiscono anche come “abakwaZulu”, cioè il “Popolo del Paradiso”, anche se questa definizione risulta leggermente stridente rispetto al loro passato di fieri ed indomiti guerrieri, capaci di sconfiggere le tribù confinanti e lo stesso potente esercito inglese.
Il fondatore della nazione Zulu, il leggendario Re Chaka, chiamato anche il Napoleone nero, riuscì a creare un impero che sottomise un territorio enorme e che diede notevole filo da torcere ai Boeri ed alle truppe inglesi. Egli fu un sovrano amato e rispettato, un grande stratega e guerriero, inventore di una organizzazione militare efficientissima. I suoi “impi” (reggimenti) dietro sue precise istruzioni, adottarono un nuovo tipo di lancia (che prese il nome di “assegai”) a manico corto che obbligava allo scontro corpo a corpo tra i duellanti. Inoltre ideò una nuova tattica militare denominata “a corna di toro”: prevedeva che la parte centrale dello schieramento, effettuando avanzate e finte ritirate, attirava il nemico tra le “corna del toro”, appunto, corna costituite dalle ali laterali dell’esercito Zulu che riusciva a circondare le forze ostili ed annientarle.
Gli uomini indossavano i costumi di guerra composti da un gonnellino di pelle e code di vacca, imbracciando i lunghi scudi ovali, l’assegai (la lancia dal manico corto) ed il knobkierie (la mazza in legno da combattimento in grado di fracassare il cranio di un nemico), ottenuta selezionando attentamente il ramo di un albero particolare (l’ironwood o il leadwood) che presenti un grosso nodo estremamente compatto: verrà sagomato e lucidato meticolosamente in modo da costituire la parte superiore della mazza durissima e resistente.
L’abbigliamento maschile tradizionale solitamente consiste in un grembiule composto da due pezzi che viene utilizzato per coprire i genitali ed i glutei. La parte frontale viene denominata “umutsha” o “isinene” ed è realizzata in pelle di springbok, mentre la parte posteriore prende il nome di “ibheshu” ed è costituita da un’unica fascia di pelle di springbok o di un animale domestico. La lunghezza dell’ibheshu è un indicatore dell’età e dello stato sociale di colui che la indossa. Gli uomini sposati di solito applicano una fascia per la testa (“umqhele”) in pelle di springbok. Gli uomini appartenenti ad alti ranghi sociali (come capi o leader) indossano una fascia per capelli realizzata con la pelle di leopardo. Durante le cerimonie ed i riti tradizionali, così come durante le celebrazioni dei matrimoni o durante i balli tipici, gli Zulu indossano braccialetti fatti di code di vacca, chiamati “imishokobezi”. I peli della coda di una mucca, chiamata “amashoba”, sono posti sulla parte superiore delle braccia e sotto le ginocchia, per esaltare la muscolatura e creare un aspetto di maggiore massa. Hanno l’abitudine di colorarsi il viso con dell’argilla rossa mista a misteriosi ingredienti naturali per proteggersi dal sole.
Gli abiti, ricchi di significati e simboli, si differenziano in base alle diverse fasi della vita dell’individuo, al rango a cui appartiene, allo status sociale ed al sesso.
Una giovane donna Zulu nubile porta i capelli rigorosamente corti ed indossa un abbigliamento libero ed essenziale: la parte superiore del corpo è lasciata scoperta con il seno nudo mentre dal bacino in giù è coperta da una corta gonna impreziosita da perline multicolori. Nel caso di una donna sposata l’abbigliamento cambia notevolmente, passando ad un look attentamente castigato dove non vi è spazio per alcuna nudità, proprio per distinguersi dalle donne nubili.
Le donne sposate possono farsi crescere i capelli e si vestono con una lunga gonna di pelle di vacca, trattata e ammorbidita con grassi e carboni di origine animale, abbinata ad un gilet di cotone con, al di sotto, il reggiseno. L’ornamento maggiormente distintivo è un cappello circolare chiamato “Izicolo”, tradizionalmente realizzato con erba e cotone che può misurare sino ad un metro di altezza e che viene utilizzato anche per ripararsi dal sole. Le “ibaye”, drappi dai colori sgargianti, coprono le loro spalle e graziosi collari, braccialetti, cinture ed ornamenti di squisita fattura, rutilanti di perline multicolori, risaltano sui corpi scuri come l’ebano. Le perline di vetro furono introdotte dai mercanti arabi che raggiungevano le coste del Natal sulle loro jerbe già diversi secoli fa: le perline venivano barattate con schiavi, avorio e merci varie. Ancora oggi rappresentano un elemento fondamentale alla base della cultura di questo Popolo. Esse non sono semplicemente un banale ornamento con accostamenti casuali di colore: le perline nell’arte Zulu hanno un loro linguaggio semplice ma profondo che si estende non solo alle collane ed ai monili, ma a tutti gli oggetti di uso comune. In questo linguaggio tradizionale composto da forme e colori (molto spesso rappresenta la naturale relazione tra uomo e donna) vi è una figura geometrica basilare, il triangolo e sette colori: i tre vertici del triangolo rappresentano il padre, la madre ed i figli. Un triangolo con il vertice verso il basso rappresenta una donna nubile, mentre con il vertice rivolto verso l’alto rappresenta un uomo celibe. Due triangoli uniti per le basi simboleggiano una donna sposata, se invece i due triangoli sono uniti sui vertici, rappresentano un uomo sposato. La combinazione di diversi colori delle perline dà origine ad un linguaggio più complesso. Il colore nero simboleggia il matrimonio, la procreazione ma, può anche significare morte, dolore e disperazione. Il colore blu indica fedeltà o può rappresentare una richiesta, può anche simboleggiare ostilità o malessere. Il giallo interpreta il desiderio di avere una buona salute, un giardino fiorito, l’industriosità e la fertilità, ma può significare anche sete o cattiveria. Il verde indica soddisfazione, oppure malattia e discordia. Il rosa è il colore della promessa, ma anche della povertà e della pigrizia. Il rosso rappresenta l’amore fisico, sessuale, esprime forti emozioni, positive o negative, come rabbia ed impazienza, può essere il colore delle malattie di cuore. Il bianco è l’unico colore a non avere mai connotazioni negative ed è il simbolo dell’amore spirituale, della purezza e della verginità.
La società Zulu è patriarcale, con regole rigide che disciplinano i doveri dei membri, prescrivono le buone maniere e stabiliscono il comportamento dei subordinati nei confronti dei superiori, delle donne nei confronti degli uomini e dei giovani nei confronti degli anziani.
Cantare e ballare sono attività che fanno parte integrante dello stile di vita Zulu: la danza, molto energica, viene eseguita tradizionalmente solo da uomini e donne non sposati. In particolare gli uomini inseriscono anche movimenti tipici del combattimento e della caccia, mimando battaglie e inseguimenti di prede.
La danza tradizionale “Ukusina” è accompagnata da vibranti canti e dal suono ritmato dei tamburi: celebra il rito di passaggio delle giovani donne dall’adolescenza all’età adulta (che in genere coincide con il compimento dei 21 anni). La cerimonia prevede la macellazione di una mucca e la festosa danza che coinvolge tutti gli ospiti presenti (i quali, al termine della danza, donano denaro e benedizioni alle giovani). E’ previsto che le ragazze rimangano nei 7 giorni antecedenti nel “Rondovel” (una grande capanna rotonda o ovale dal tetto in paglia destinata ad accogliere i giovani per un breve periodo di “ritiro” con i loro amici, in modo da esercitarsi nel praticare i canti in previsione della cerimonia): al 7° giorno le ragazze, svegliandosi all’alba, si recano al fiume più vicino per fare il bagno. Quando rientrano, le madri praticano i test di verginità per confermare a tutti il loro stato di illibatezza e si dà così il via ai festeggiamenti. Da quel momento le giovani donne sono pronte per essere sposate.
La danza “Ngoma” si svolge in cerchio con l’accompagnamento dei tamburi: è una danza rituale ricca di significati per la comunità, esiste un legame strettissimo tra canto e danza, corpo e voce sono un tutt’uno e si fondono perfettamente con le percussioni, con i costumi tradizionali, con le lance e gli scudi.
La danza guerriera “Indlamu” è invece diversa da qualsiasi altra danza tradizionale in quanto non è accompagnata dai canti. I ballerini indossano i tipici costumi dei guerrieri Zulu ed utilizzano la lancia dal manico corto denominata “Assegai”, gli scudi ovali in pelle grandi (“Isihlangu”) e piccoli (“Ababhumbuluzo”), la mazza da combattimento (“Knobkierie”), oltre alla fascia copricapo (“Umqhele”) ricavata dalla pelle dell’Impala e realizzata
cucendo un cilindro di pelle imbottito con lo sterco di vacca ed infine le piume (“Upaphe”) poste a decorazione del copricapo. Questa danza è stata tramandata sino ai nostri giorni ed è la medesima che veniva eseguita al tempo del Re Shaka che fu il fondatore, nel 1816, della nazione Zulu. Nella loro cultura era ed è usata come evento aggregante, volta a mantenere ben saldo lo spirito di gruppo. Durante il suo svolgimento i guerrieri Zulu mostrano la loro forza muscolare e la padronanza delle armi e dei loro movimenti: da sempre si crede che questa danza accresca la resistenza e la potenza dei guerrieri che la praticano.
L’Africa è un Continente che amo.
L’Africa è Cultura, è un Mondo che si nasconde dietro l’evidenza.
In Africa nulla, ma proprio nulla, è mai come appare ai nostri occhi da occidentali. Vi è sempre una spiegazione dietro ogni cosa: un avvenimento, una festa, un ballo, un sorriso, un diniego. Già, anche se ci può sembrare assurdo ed incomprensibile, esiste una storia dietro ad ogni uomo ed una tradizione dietro ad ogni popolo.
Credo che, sino a quando non riusciremo ad abbandonare le nostre convinzioni, i nostri preconcetti, i nostri privilegi, per impedire che essi offuschino il nostro approccio e la nostra conoscenza nei confronti di questi popoli e delle loro culture, sino a quando non ci sforzeremo di andare oltre una comprensione approssimativa e superficiale (stile “mordiefuggi”), per noi volgere lo sguardo all’Africa ed alla sua Gente sarà sempre come alzare gli occhi incrociando il sole: lo guarderemo, certamente, senza mai riuscire a vederlo davvero, diventando con il tempo incapaci di vedere qualsiasi altra cosa.
Fabrizio Loiacono Photographer
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