È un popolo dalle tradizioni molto interessanti: pur essendo di religione cattolica, cristiana ortodossa o musulmana, effettua ancora riti pagani e sacrifici animisti in onore della divinità da cui credono discendano loro stessi ed i loro antenati. Osservano e studiano la luna (“lea”) e le stelle (“hikka”) per prevedere il futuro.
In onore dei loro defunti ereggono totem in legno dal nome “waqa”, che possono raggiungere anche un metro e mezzo di altezza e risalire a ben 150 anni fa. Purtroppo molti degli esemplari più antichi sono stati razziati da commercianti senza scrupoli che li hanno rivenduti a collezionisti facoltosi.
Spesso raffigurano guerrieri nudi che impugnano lancia e scudo. Gli occhi e i denti sono bianchi, dato che utilizzano gusci di uova di struzzo. Ramoscelli, fiori e foglie verdi posti sul waqa, augurano un sereno cammino nell’aldilà al trapassato.
I villaggi presentano un fitto labirinto di recinti (denominati “kawatapaleda”) e di stradine delimitate dalle capanne con i tetti di paglia, muretti in pietra a secco, alberi di Moringa oleifera, recinti più piccoli che delimitano le singole case (prendono il nome di “ohinda”). Le capanne sono cilindriche e sulla punta del tetto viene inserito un vaso di terracotta, la cui base è stata preventivamente rotta, per evitare che la pioggia possa penetrare al di sotto. Questi vasi molto spesso sono decorati con simboli fallici.
All’interno delle capanne dormono solamente le donne, i bambini e gli anziani.
Gli uomini, pur vivendo durante il giorno con la loro famiglia, dai 14 anni in su dormono nelle “maqana”, delle abitazioni separate in cui la comunità maschile adulta veglia sulla sicurezza e sull’incolumità dell’intero villaggio.
I Konso abitano un vasto territorio, vivendo in 48 villaggi, suddivisi in 9 clan, al cui vertice c’è il “fahalla dimulga” (il capo clan), che risponde del suo operato direttamente al “khalla” (il re). Titoli questi, che si trasmettono per via ereditaria di generazione in generazione.
Le riunioni dei capo clan si svolgono nelle “maqana”, capanne aperte ai soli maschi adulti del villaggio da tempi immemorabili.
Il loro piatto preferito è il “korkorfa”, assimilabile ai nostri gnocchi stufati o in brodo, preparati con la farina di sorgo. Carne e pane abbinati con diversi condimenti prevalentemente piccanti sono pure comuni.
Bevono la “cheka”, una specie di birra derivata dalla fermentazione di mais e sorgo, la “dagusa” ricavata dalla fermentazione di mais, sorgo e steli di gesho.
Le donne Konso, proprio a causa dell’elevato consumo di queste bevande fermentate, presentano un rigonfiamento del ventre notevole, come se fossero sempre in dolce attesa…
Gli uomini indossano una casacca di cotone dai colori sgargianti e dei pantaloni molto larghi, portando sempre con loro coltello e lancia.
Le donne si racchiudono i capelli nei fazzoletti tradizionali e indossano delle particolari gonne a balze coloratissime. Mostrano con orgoglio gli ornamenti in ottone, in rame e avorio. In genere hanno lineamenti marcati, gli occhi sono a mandorla, leggermente allungati e la loro statura è notevole rispetto ad altre popolazioni limitrofe.
I bambini, sempre sorridenti, costruiscono con il midollo del sorgo alcuni giocattoli artigianali: macchine con ruote che si muovono, “schermi” di televisori che, con un semplice ed ingegnoso meccanismo di rotazione, fanno scorrere come per magia una pergamena con diversi disegni realizzati da loro stessi, biciclette, fuoristrada. Dimostrano una notevole abilità manuale ed un eccellente estro.
Scrivi un commento