Questo è un popolo fiero che non supera i 4.000 individui: nel loro territorio l’acqua, elemento prezioso per le colture, abbonda e riescono a coltivare mais e sorgo in quantità rilevanti, barattando parte del raccolto con caffè, bestiame e tabacco.
Il villaggio è piccolo. Le capanne, tutte realizzate solamente con l’utilizzo delle canne, sono edificate in semicerchio intorno al “nab” (così si chiama la parte centrale del villaggio) e sono rivolte con l’apertura verso il luogo di provenienza del clan originario di ogni singola famiglia.
Le donne hanno il seno scoperto e dal collo scendono a grappoli numerose collane multicolori (realizzate con i materiali più disparati: metallo, legno, perline, crine di giraffa, avorio), che coprono parzialmente il petto. Indossano uno scialle, a volte colorato altre volte nero, che dal capo copre le spalle ed una gonna in pelle su cui applicano piccoli anelli di metallo e le conchiglie cipree. Sono molto belle, alte e con un portamento fiero e deciso, a volte quasi di sfida. Le loro braccia sono letteralmente coperte da bracciali di metallo, di osso o di ottone che prendono il nome di “eet”. Le ragazze nubili indossano delle vistose cavigliere per distinguersi dalle donne sposate. Tutte hanno alle orecchie degli originali orecchini in metallo a forma di spirale. Nelle dita portano diversi anelli in rame.
Sembra che questa etnia provenga da lontane terre orientali. Quasi certamente il loro è sangue misto, dato che la loro discendenza si fa risalire a quella dei popoli che anticamente abitavano la Valle dell’Omo e gli altopiani di Konso.
I bambini maschi si dipingono il viso con l’argilla bianca nel periodo che precede la cerimonia della circoncisione e nella fase immediatamente successiva.
Le bambine, invece, adoperano l’argilla come se fosse un trucco per mettere in risalto gli occhi e spesso si coprono il capo con le zucche svuotate per ripararsi dal sole.
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