Gli anni bui del colonialismo e l’era nefasta dell’apartheid hanno cancellato gran parte delle tradizioni, delle celebrazioni, dei riti e delle culture tribali che fiorivano nello sconfinato territorio del Sud Africa ma, nonostante questo epilogo doloroso e nonostante l’avvento delle religioni occidentali e mediorientali, alcuni popoli hanno mantenuto in vita almeno una parte delle loro antiche tradizioni.
Uno di questi è il Popolo Xhosa, il secondo maggiore gruppo etnico dopo gli Zulu.
Gli Xhosa appartengono al ceppo etnico dei Bantu, originario dell’Africa centrale: da questi territori, nella notte dei tempi, sono emigrati verso sud, alla ricerca di terre fertili e pascoli rigogliosi. Il Popolo Xhosa, chiamato il “Popolo rosso” per l’abbigliamento prevalentemente usato in questa tonalità di colore, annovera tra i suoi più illustri personaggi Nelson Mandela.
Gli abiti indossati da questa etnia rispettano un codice abbastanza complesso: il rosso e l’arancione sono i colori prevalenti che possono cambiare in base alla posizione sociale di ogni individuo ed in base alla fase della sua vita. L’abbigliamento viene arricchito e decorato da preziose lavorazioni realizzate con perline colorate, perle di vetro, semi e gusci, oltre ad altri materiali che rendono questi capi dei veri e propri capolavori. Il tutto ulteriormente impreziosito da lunghe ed elaborate collane di perline e bracciali multicolori. Le donne sposate indossano un copricapo simile ad un turbante intrecciato colorato, anche questo ha stili differenti in base a chi lo indossa ed al suo status: ad esempio il copricapo di una ragazza appena sposata sarà differente da quello di un’altra che avesse dato alla luce il primo figlio.
Tra gli accessori più caratteristici realizzati da questo Popolo, vi è la pipa tradizionale che uomini e donne fumano quotidianamente, viene realizzata in legno e decorata con perline colorate, e ne esistono due varianti: una impiegata dalle donne, notevolmente più lunga rispetto a quella utilizzata dagli uomini, per una ragione pratica molto semplice visto che portando i bambini piccoli sulla schiena il fumo andrebbe direttamente sul loro volto, mentre la pipa più lunga evita questo poco salutare inconveniente deviando il fumo.
La religione tradizionale degli Xhosa è animista: credono nella presenza degli spiriti benevoli e malevoli ed in un Dio creatore, mentre il ruolo degli antenati, come elementi di connessione con il mondo spirituale, è ritenuto molto importante tanto è vero che vengono celebrati e rispettati da tutti.
L’arrivo dei missionari europei e delle dottrine legate al cristianesimo, hanno in parte modificato questa loro visione religiosa: attualmente la maggioranza di questa etnia pratica il sincretismo, ossia una fusione di pratiche cristiane e credenze tribali. Essi credono nell’importanza spirituale dei sogni, della magia e della stregoneria benevola e malevola. Sono presenti nella loro società figure come le streghe ed i stregoni che hanno il potere della divinazione, i guaritori spirituali che liberano i posseduti dagli spiriti malevoli, gli erboristi che praticano la medicina tradizionale basandosi sulla conoscenza approfondita delle proprietà delle differenti erbe officinali.
Le case degli Xhosa erano capanne di fango di forma circolare con una struttura interna portante formata da pali di legno e tetto in paglia e nel proprio terreno ogni famiglia poteva possedere una o più di queste strutture da destinare ad usi diversi: abitazioni per gli anziani o per i figli sposati o ancora adibite a cucine. Purtroppo, almeno ai fini etnoantropoligici, queste case tradizionali sono state sostituite da moderni sistemi abitativi realizzati dal Governo centrale per il cosiddetto “sviluppo” dei villaggi, anche i più remoti.
Il canto e le danze sono state tramandate, fortunatamente, sino ai nostri giorni: la danza è un mezzo per comunicare tra diverse generazioni, in tal modo il mondo dei vivi entra in contatto con gli antenati dato che, attraverso la danza, si tessono le loro lodi e si crede che gli spiriti dei defunti siano sempre vicino ai loro cari, pronti a fornire i preziosi consigli.
In passato la futura sposa veniva rapita (con modalità simili a quelle praticate nel nostro Meridione) dal suo aspirante sposo e dopo aver consumato sessualmente l’unione tra i due veniva definita la quota che quest’ultimo avrebbe dovuto riconoscere alla famiglia della consorte. Ora questa pratica è stata abbandonata ed il fidanzato si limita ad incontrare la famiglia della ragazza per chiederla in sposa e contrattare il prezzo da pagare.

In seguito verrà celebrato il matrimonio con una festa che avrà la durata di tre giorni, durante i quali verrà offerta in sacrificio agli antenati una capra e si concluderà con l’ingresso della sposa nella casa del marito. Una volta che la giovane donna sarà ufficialmente coniugata, si tingerà il viso con argilla bianca e indosserà il turbante tradizionale che contraddistinguerà il suo nuovo status sociale.

Fabrizio Loiacono Photographer