In uno dei territori più affascinanti della Regione del Karnataka, si sviluppa un’area collinare di circa 2.500 Km. quadrati ricoperta da fitte foreste e piantagioni, attraversata dal fiume Kaveri, che rappresenta l’habitat ideale del Popolo Kodavas.
E’una terra di straordinaria fertilità (essendo alimentata dai numerosi ruscelli e rigagnoli che, diramandosi dal fiume principale, nutrono le diffuse piantagioni di pepe, cardamomo, caffè, noce moscata, le foreste di bambù, di sandalo e palo rosa) molto umida e piovosa che dona, agli abitanti ed ai rari turisti o ricercatori che vi si addentrano, panorami mozzafiato.
I Kodavas o Coorgis si contraddistinguono, rispetto gli altri Popoli che risiedono nel Sud del Karnataka, per il loro aspetto slanciato ed avvenente, per i riti ed i culti tradizionali, per il loro abbigliamento tradizionale e, soprattutto, per identificarsi in un Popolo di consuetudini marziali.
Gli uomini, infatti, esibiscono alla cintura con orgoglio il “Peeche Kathi”, un pugnale simile ai noti coltelli yemeniti, che non ha un semplice scopo ornamentale: le armi sono protagoniste indiscusse durante le loro celebrazioni e cerimonie, come nel caso della “Kailpoldhu” (Festa delle armi), in cui esse vengono onorate e benedette mediante un’apposita “Puja”(l’atto di adorazione nei confronti di una particolare forma della Divinità che può esprimersi in una offerta, “Upachara”, un culto, una cerimonia od un rito).
I Kodavas sono “ufficialmente” hinduisti ma, in pratica, rifiutano la presenza dei Brahmani durante i loro riti, non sono vegetariani, adorano diverse Divinità boschive da tempi immemorabili e risultano pertanto in molti aspetti dissimili da tutte le popolazioni limitrofe.
Questo Popolo fiero ed indomabile, le cui origini si perdono nella notte dei tempi (la tradizione vuole che essi discendano dalla casta guerriera dei Kshatriyas o, una versione diversa li accomunerebbe all’origine Shaka dei Sciti, una popolazione originaria delle steppe settentrionali dell’Asia centrale organizzata in tribù nomadi, seminomadi e sedentari, a cui Erodoto dedica un’ampia descrizione nei suoi scritti), esibisce ed utilizza le armi in ogni circostanza: durante rituali di varia natura, nelle danze, nello sport.
Anche i Kodavas appartengono alle tribù indigene accomunate nel termine indiano “Adivasi”: questi gruppi etnici (sarebbero almeno 705 quelli ufficialmente riconosciuti dalle autorità indiane) rappresentano la seconda popolazione tribale più grande al mondo, subito dopo i cugini africani, e risulta seriamente ed ineluttabilmente a rischio di estinzione.
Vari elementi contribuiscono a questa prospettiva nefasta: la deforestazione provoca la scomparsa delle specie animali utilizzate per il sostentamento quotidiano di queste tribù che da sempre hanno fatto affidamento sulle risorse della foresta e sulla selvaggina, entrambe utilizzate senza alcun spreco o dispersione; l’incremento delle attività industriali ed estrattive minaccia dalle fondamenta le loro radici e la loro stessa esistenza, numerose comunità sono costrette pertanto ad abbandonare i territori d’origine ancestrali senza prospettive o futuro certi se non quelli di essere emarginati e sfruttati.
Inoltre queste popolazioni indigene, vivendo da tempi immemorabili nelle foreste più remote ed avendo linguaggi tribali spesso sconosciuti alle altre collettività, sono emarginate e costrette a superare (spesso senza successo) le rigide barriere sociali e l’indifferenza delle istituzioni. La distanza fisica dai gruppi etnici non tribali ha generato degli stereotipi negativi nei riguardi degli Adivasi che vengono considerati primitivi, privi di alcuna abilità, persino dannosi per lo sviluppo economico del Paese. Sulla base di questi diffusi e banali concetti essi vengono esclusi dalla maggior parte dei servizi sociali e dalle opportunità di inserimento nel tessuto economico indiano.
Di fatto i Popoli indigeni, discriminati dalla maggioranza della popolazione Hindu (che ha usurpato e confiscato gran parte delle loro Terre), vivono da sempre ai margini della società, che li considera una zavorra ed un peso da eliminare con ogni mezzo.
Nonostante gli Adivasi (pur decimati dai coloni e dalle multinazionali) abbiano resistito ai numerosi e brutali tentativi di sottomissione e di assimilazione rifugiandosi nelle parti più inaccessibili delle foreste e continuando a mantenere per secoli una relativa autonomia, vivendo un rapporto di convivenza rispettosa dell’ambiente naturale che li ospitava
(praticando un’agricoltura di sussistenza, la caccia responsabile, la raccolta di frutti spontanei, radici e piante utilizzati nella loro alimentazione e nella medicina), con l’avvento della colonizzazione inglese ha inizio il vero e proprio processo di delegittimazione e privazione delle Terre dei Popoli indigeni, seguito dal tentativo di integrazione nel nuovo sistema produttivo in condizioni di semischiavitù.
A seguito dell’indipendenza dell’India dal regno britannico, venne negata la loro identità etnica e moltissime tribù furono relegate in riserve ogni giorno minacciate dall’avanzata inesorabile dello sviluppo economico. In nome dello sviluppo industriale e con il benestare dei diversi governi indiani succedutisi, imprese e multinazionali locali e straniere si sono assicurate il controllo, la gestione e lo sfruttamento delle aree di pertinenza delle tribù indigene che, di fatto, sono divenute paragonabili ai nostri senzatetto.
In tal modo le foreste hanno perduto i loro veri custodi, alleati e protettori della biodiversità e dell’ambiente naturale: noi tutti, d’altrocanto, abbiamo irrimediabilmente perso l’incredibile patrimonio di conoscenze sull’utilizzo delle piante spontanee, bagaglio atavico di questi Popoli.
Fabrizio Loiacono Photographer
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