Il paesaggio che attraversiamo in fuoristrada è molto vario: si passa dall’affascinante Rift Valley, alle aride savane dell’estremo sud, alle foreste fluviali che si affacciano sul fiume Omo e sul Parco Nazionale del Mago.
L’immenso fiume Omo si sviluppa lungo quasi 1.000 chilometri, nascendo dalla regione a sud ovest di Addis Abeba per raggiungere il Kenya, dove alimenta il famoso lago Turkana (soprannominato il “Mare di giada”), il più grande lago desertico al mondo.
Le acque del fiume Omo assicurano la sopravvivenza ed il sostentamento a migliaia di individui che appartengono alle ultime tribù indigene stanziate tra l’Etiopia sud occidentale ed il nord del vicino Kenya.
Nel 2006, su iniziativa del Governo etiope, si è dato il via ai lavori di costruzione dell’enorme diga idroelettrica Gibe 3 (il più grande progetto d’investimento sinora concepito nel Paese), che avrà un impatto catastrofico sui fragili ecosistemi e sulle già poverissime micro economie di sussistenza (legate indissolubilmente ai flussi stagionali del fiume), le cui conseguenze drammatiche si spingeranno fino al lago Turkana in Kenya.
Nella Bassa Valle dell’Omo (dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’umanità) e nella regione etiope dell’Omo meridionale, risiedono circa 700.000 pastori ed agricoltori appartenenti a 20 diverse etnie tribali (Bodi, Daasanach, Karo, Muguji, Mursi, Nyangatom, Bashada, Banna, Hamer, Amhara, Ari, Atse, Basketo, Birale, Dime, Konso, Maale, Murile, Tsamai, Tsemako): il loro futuro dipende dalla salvaguardia dei pascoli e delle coltivazioni agricole che, ogni anno, vengono alimentati dalle piene del fiume.
L’Etiopia, terra povera e densamente popolata, dato che non possiede sbocchi diretti al mare, basa la sopravvivenza della propria popolazione prevalentemente sull’agricoltura: non per nulla oltre l’80% dei suoi abitanti sono piccoli coltivatori.
Attualmente gli aiuti esteri nel paese corrispondono al 90% del budget nazionale.
Il governo ha così deciso, nel tentativo di sviluppare l’economia, di procedere serratamente ad un piano aggressivo di produzione di energia idroelettrica, considerata una delle rare risorse sfruttabili.
Per contro, si ipotizza che l’intera energia prodotta dalla diga verrà destinata all’esportazione, in particolare nel Sudan, a Djibouti ed in Kenya, senza alcun ritorno positivo sul territorio nazionale.
Sembra inoltre che il governo non abbia effettuato le opportune valutazioni, in modo approfondito e scrupoloso, dei rischi connessi alla costruzione di un’opera così complessa, in aperta violazione delle leggi etiopi vigenti e degli standard internazionali, i quali prevedono che lo studio sull’impatto di un progetto debba essere stimato ed approvato in una fase antecedente all’inizio di apertura del cantiere.
Le popolazioni indigene presenti nella Bassa Valle dell’Omo sono tra le più vulnerabili proprio a causa dell’isolamento che sinora ha preservato le loro tradizioni più antiche ed i loro riti più ancestrali.
In questa regione non esistono strade, corrente elettrica o linee telefoniche. Non vi sono centri commerciali importati dal consumismo occidentale. Non si parla l’inglese od altre lingue estere; lo stesso amarico, lingua nazionale etiope, è quasi sconosciuta.
La diga, purtroppo, modificherà in modo drastico la portata attuale del fiume eliminando, in tempi brevissimi, il ciclo naturale delle piene: dopo ogni piena annuale, gli agricoltori di questa regione piantano le loro colture lungo le rive del fiume, mentre i pastori conducono il loro bestiame nei pascoli rivitalizzati dal limo. Gli stessi pesci di acqua dolce, presenti nel fiume, iniziano le loro migrazioni dopo le piene. Insomma un ciclo naturale vecchio di millenni verrà inesorabilmente stravolto dalla costruzione di questa opera.
Le conseguenze, purtroppo, in mancanza di adeguate misure preventive, risulteranno pesantissime: carestie, gravi epidemie, insicurezza alimentare, instabilità dell’economia e del tessuto sociale della regione, una maggiore dipendenza dagli aiuti umanitari.
L’immediata diminuzione delle risorse naturali disponibili, provocata dalla costruzione della Gibe 3, acuirà inoltre i conflitti tra i diversi gruppi etnici, inasprendo i già tesi rapporti di vicinanza. La presenza di armi moderne tra le varie etnie, potrebbe comportare un’esplosione della violenza dagli effetti imprevedibili.
Scrivi un commento